Pozzo in Africa

ACQUA PER L’AFRICA

E’ un piacere raccontare del viaggio compiuto in Etiopia insieme all’amico Roberto Fresia, in rappresentanza del nostro Club di Savona Torretta. Questo, in stretta collaborazione con il Club Addis Ababa (non Abeba!) Greater e con il contributo IAG (International Assistance Grant) della LCIF, ha aperto un nuovo pozzo che, con un getto valutato in 10 litri/secondo garantisce il rifornimento a oltre 7000 persone.

Sull’altopiano etiopico le piogge non mancano, eppure la scarsità di acqua è cronica e costringe i contadini ad attingere a chilometri e chilometri di distanza (caricandone, quando va bene, un asino), anche così accontentandosi di acque batteriologicamente e chimicamente inquinate, non ultima causa di una grave situazione sanitaria. Ci si chiede dunque perché l’acqua manchi, nonostante le piogge intense anche se stagionali, articolate in periodi di grandi e piccole piogge. Forse un geologo potrebbe rispondere: l’ipotesi che da profano posso avanzare è che i terreni superficiali, troppo permeabili, non trattengano l’acqua che, di fatto, si trova in falde, anche cospicue, ma a profondità che vanno dai 50 ai 150 metri e oltre.

Quindi, la messa in opera di una rete di pozzi sembra la risposta più adeguata e immediata a questa condizione di grave disagio; fatta salva la possibilità di interventi più strutturali che un competente potrebbe indicare.

Anche prima di sapere queste cose, due anni fa ho pensato che sarebbe stato bello onorare il ventennale del Club con un Service di ampio respiro a favore di quelle popolazioni. Roberto Fresia con la sua vasta competenza lionistica mi ha fornito i nomi dei referenti IAG, Ann Bradley e Rebecca Daoui; sulla base delle loro indicazioni l’amico Lion Franco Tavella, recandosi personalmente e meritoriamente in Etiopia, non solo ne ha riportato una viva e sensibilizzante documentazione verbale e fotografica, ma ha potuto prendere direttamente contatto con Mauro Cattaneo, imprenditore italiano che vive in Etiopia ed è Lion nel Club Addis Ababa Greater. Questo, sotto il suo impulso ha curato la progettazione ed esecuzione dei lavori, affidati all’impresa del Lions George Stavros. E’ stato un buon lavoro di squadra.

Non sono mancate le difficoltà: una prima perforazione nel territorio di Asefi Girar, regione di etnia Guraghi (l’Etiopia è fortemente multietnica) ha dato risultati insoddisfacenti, per la scarsità della falda incontrata, ci si è allora spostati tra Zway e Adamitullo, regione di etnia Oromo, popolata da sparsi villaggi contadini di tipologia estremamente arcaica. Capanne dai muri di fango e dai tetti di paglia accolgono la famiglia – ovviamente di tipo allargato – e di solito anche gli animali (numerosi ma mal nutriti i bovini); solo il capo villaggio, che ha orgogliosamente insistito per mostrarcela, dispone di una sorta di “farm” con abitazione in muratura – lusso inaudito – distinta dalle altre capanne che hanno funzione di stalla e di deposito. Il potere è del maschio anziano, e il suo simbolo visibile è la lancia di famiglia che passa in eredità da padre a primogenito e che ancor oggi è arma di difesa del bestiame, se non più contro i leoni, almeno contro le iene che tuttora attaccano i (purtroppo numerosi) ragazzi di strada fin nella periferia delle città. Ma anche la sacralità della lancia di famiglia cede al contatto con l’Occidente ricco: a noi non è capitato, ma gli amici di Addis Ababa mi hanno assicurato che anche questo prezioso oggetto è commerciabile.

Ma torniamo al pozzo. L’inaugurazione non ha avuto nulla della fredda cerimonia, perché nulla ha avuto di formale. La popolazione ci ha accolto con calorose espressioni di gratitudine, e insieme a noi ha partecipato con entusiasmo al momento culminante dell’abbondante primo sgorgare dell’acqua. E’ stato un grande momento, che i villaggi della zona hanno voluto onorare anche con una gara di fondo fra ragazzi, notoriamente molto forti in questo sport.

Certo, queste iniziative non risolvono il problema dell’incredibile squilibrio fra un Occidente opulento e un Terzo Mondo alla fame, causa di quei movimenti migratori contro i quali si vorrebbero erigere bastioni, e tuttavia il nostro intervento ha rappresentato qualcosa: oltre al sollievo materiale immediato è stato occasione di conoscenza e incontro amicale fra esseri umani, così distanti, ma così simili.

Il nostro viaggio ci ha permesso poi di conoscere un altro tipo di intervento, ben più impegnativo e protratto nel tempo di quanto non sia il nostro: quello dei Padri Salesiani che dedicano la vita alla creazione e gestione di strutture educative e assistenziali. Queste, mutatis mutandis, assomigliano un po’ a college, certo modesti e privi di ogni orpello superfluo, ma dotati di tutto il necessario e l’essenziale, dall’aula scolastica ai servizi al campo di calcio ai laboratori. I ragazzi, levati dalla strada, vivono una realtà ben diversa dalla abituale e fruiscono di un iter educativo prolungato che può concludersi con un avviamento al lavoro.

Ma questa è un’altra storia.

Pasquale Pisseri

Pres.2000-2001